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Adolescenti, Culture e Violenza
Adolescenti, Culture
e Violenza
Dr. Giacomo Pietrucci
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I consigli dello psicologo
Salve, sono una donna straniera immigrata in Italia, madre di un adolescente quattordicenne che è nato e cresciuto in Italia; mio figlio è piuttosto vivace e temo che possa diventare violento coi compagni che magari possono isolarlo o prenderlo in giro per le sue differenze legate alla sua cultura di origine. Cosa mi consiglia di fare?
La ringrazio per la domanda, che mi porta a parlare di una delle attuali sfide del nostro lavoro:quella dell’utenza multiculturale. Infatti, in linea con le trasformazioni socio- culturali di oggi è sempre più alto il numero di utenti immigrati di prima e seconda generazione che richiede prestazioni di carattere sanitario e psicoterapeutico.
Come sicuramente saprà, la questione fondamentale dell’adolescenza è la costruzione della propria identità. Per un ragazzo straniero o figlio di genitori stranieri, tale compito evolutivo diventa ancora di più impegnativo poiché si tratta di impiegare nella propria identità un doppio riferimento culturale, quello della società in cui cresce e quello della famiglia/e da cui proviene.
Pertanto di trovano di fronte a una duplice ricchezza; il problema è riuscire a goderne davvero, senza essere travolti dal confitto. Come spiega Mazzetti (2003) questi adolescenti hanno quattro possibilità di reazione:
Crescere con un’effettiva doppia cittadinanza culturale, riuscendo a sviluppare un senso di appartenenza per entrambi i sistemi culturali trovando un equilibrio soddisfacente per le proprie esigenze, imparando le due lingue e godendo di entrambi i mondi.
Iperaddattarsi al sistema dominante, quello della cultura ospite ,rinunciando alla cultura familiare.
Arrocarsi nel sistema di riferimento della propria famiglia e rifiutare la realtà italiana. Questa possibilità, come la precedente, può portare l’adolescente a mettere in atto comportamenti violenti verso persone esterne alla famiglia, come tentativo di preservare la propria identità.
Diventare una sorta di apolide culturale (Mazzetti 2003) in cui non si sente di appartenere a nessuna cultura; questa è la più pericolosa delle ipotesi, perché cultura = identità quindi possono insorgere gravi disturbi psicologici ,atti di violenza verso se stessi e verso gli altri.
Quindi in genere quando si lavora con adolescenti violenti (o potenzialmente tali come nel suo caso) è bene riconoscere e analizzare la specifica condizione di immigrazione in quanto portatrice di diverse situazioni di rischio per la salute psicologica o per l’integrazione sociale.
In primis, è bene distinguere adolescenti di prima e seconda generazione, dove per seconda intendo figli di genitori stranieri nati in Italia o per lo meno scolarizzati per la maggior parte nel paese adottivo.
Questi si trovano ad affrontate una serie di sfide: far fronte agli stereotipi riguardanti gli stranieri e gli immigrati nonostante il loro radicamento nella cultura ospite:il rischio è quello di sentirsi stranieri nella loro terra; gestire le possibili differenze tra norme e valori familiari e norme della società di appartenenza; il rapido sorpasso dei genitori per quanto riguarda la conoscenza della lingua e delle norme sociali del paese ospite che implica l’assunzione da parte dei figli di un ruolo di intermediario tra scuola e famiglia, generando un’inversione di ruoli e uno sbilanciamento nella gerarchia familiare.
A livello di intervento psicoterapico è importante (dal io punto di vista ) ,rispettare la diversità culturale, cercando di raggiungere quel delicato punto di equilibrio tra sottovalutazione e sopravvalutazione di essa. Nel primo caso si potrebbe dare l’impressione di essere un terapeuta razzista, nel secondo ,si rischia la depersonalizzazione dei membri della famiglia, che si sentono trattati come stereotipi e quindi difficilmente collaboreranno.
Nel prossimo articolo svilupperò l’argomento violenza connessa ai fenomeni di bullismo.
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